07/08/08

L'altra casta. E il giudice incassò 800 euro l'ora Il grande affare degli arbitrati

Sembra una velina del governo ed invece è un giudice a fare marcia indietro, dopo l'avventata scelta di arrotondare
lo stipendio. E' inaccettabile che quella corsia preferenziale parallela ai processi amministrativi che sono gli arbitrati (aboliti dal governo Ciampi, ripristinati da Berlusconi, ri-aboliti da Dini e via così...) veda la presenza di giudici che magari decidono su cose che toccano lo stesso Ministero, la stessa Regione, la stessa Provincia sulle quali possono essere chiamati a decidere nelle vesti di membri dei Tar o del Consiglio di Stato.

La “Giustizia” tradita e strumentalizzata dal “Potere”

In questi anni e in questi giorni assistiamo, purtroppo e con grande dolore, all’uso (abuso!) della “Giustizia” come strumento di difesa del “Potere” e degli assetti economici e di benessere di una minoranza della popolazione mondiale e nazionale ("Potere" qui non indica solo chi governa, ma anche coloro che a chi governa danno mandato di farlo in uno specifico modo).

Si fanno guerre di occupazione per il mantenimento del potere sul petrolio, chiamandole “Giustizia infinita”; per mantenere il livello di benessere dell’occidente, si nega asilo politico ai tanti extracomunitari che, a norma della costituzione e degli accordi internazionali ne hanno diritto, dichiarandoli tutti e indistintamente “clandestini” e promulgando norme penali che li “criminalizzano”; si “ripuliscono le strade” dai lavavetri, chiamando l’operazione “pacchetto sicurezza” e parlando di “guerra al crimine” e di “tolleranza zero”; si promuove una legislazione “a doppio binario”, forte con i deboli e debole con i forti, per la quale oggi in Italia la vendita di una borsa Luois Vuitton palesemente falsa (e dunque tale da non potere togliere clienti alla Louis Vuitton, perché nessuno che voglia quella vera comprerebbe quella falsa) è punita molto molto di più di un falso in bilancio da un milione di euro, che in moltissimi casi non è punibile per niente.

E tutto, “in nome della Giustizia”.

E chi cerca di far conoscere il costo in dolore e vite umane che questa “politica” comporta, viene zittito e, bisogna avere il coraggio di dirlo, censurato adducendo che quei “costi umani” sono “costi inevitabili”, “danni collaterali” necessari per ottenere “il mondo perfetto”, l’“eden di benessere economico” promesso dalle politiche eudemonistiche sempre più praticate.

La “tecnica” di queste politiche consiste nel promettere ai cittadini/sudditi benessere e felicità sempre più “grandi”, nascondendo dietro le promesse di benesseri e felicità future l’inferno attuale, l’ingiustizia e la violenza con la quale quel benessere e quella felicità vengono perseguiti.

Questa è la “tecnica base” di tutti i totalitarismi.

Così milioni di bravi tedeschi, inseguendo il sogno di una Germania e di un mondo perfetti hanno sterminato sei milioni di ebrei; così milioni di bravi russi, inseguendo il sogno di un socialismo perfetto, hanno sterminato milioni di altri russi.

Così, purtroppo, oggi milioni di bravi italiani stanno inseguendo gli stessi sogni di benessere e sicurezza a “tolleranza zero” nascondendo a se stessi e agli altri "i costi umani" di questi "sogni".

Bisogna riflettere e far riflettere sul fatto che non si può consentire che questo sia fatto “in nome della giustizia”.

Si perseguono politiche economiche che aumentano costantemente il numero degli emarginati e dei nuovi poveri, senza comprendere che la c.d. "microcriminalità" è anche frutto di queste condizioni di disagio e di non integrazione. E ci si illude che a tutto questo si possa porre rimedio continuando a perseguire le stesse politiche, ma "aumentando le pene" senza una logica e tacendo il fatto che, a causa di un sistema penale mantenuto inefficiente perchè non possa "dar fastidio" ai potenti, quelle pene non vengono scontate se non solo in parte e solo dai poveracci.

Si riduce così la "giustizia" a una forma impropria e inefficace di "repressione", spesso ingiusta, e si diffonde la convinzione che "il fine giustifichi i mezzi".

Ma nulla giustifica l'ingiustizia e la politica - essenziale per la vita di ogni società - non dovrebbe ridursi a imbonimento e demagogia.

Pubblichiamo, su questi temi, un estratto di uno scritto di Gustavo Zegrebelsky tratto dal quotidiano “La Repubblica” del 16 novembre 2004.

Per una maggiore comprensione dei concetti espressi dal prof. Zagrebelsky, è utile la lettura di un altro scritto proprio sul tema dei pericoli insiti nelle politiche eudemoniste, che abbiamo pubblicato, intitolandolo "Democrazia e principi. Il pericolo delle politiche eudemoniste".

Gustavo Zegrebelsky è professore di Diritto Costituzionale. E’ stato Giudice e Presidente della Corte Costituzionale fino al 13 settembre 2004.

Sulla ingiustizia e inefficacia delle misure "anticrimine" (?!) contro lavavetri e simili, si veda anche l'articolo di Bruno Tinti "Le responsabilità della politica nella crisi della giustizia".

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di Gustavo Zagrebelsky
(Professore di Diritto Costituzionale. Ex Giudice e Presidente della Corte Costituzionale)


Che la giustizia abbia a che fare con atteggiamenti non razionali dovrebbe essere chiaro già per il fatto che essa attiene a valori. Le cosiddette scelte di valore sono oggetto di percezioni e propensioni non giustificabili razionalmente, cioè non attraverso speculazioni o dimostrazioni. Del resto, il linguaggio, anche qui testimone attendibile, parla di senso o sentimento di giustizia. La giustizia solo come idea o teoria appare quando il razionalismo della nostra civiltà ha iniziato a pretendere, nella ricerca della natura delle società, di lasciare da parte, perché non scientifico, tutto ciò che non è ragionamento e calcolo. Così esso si è esteso oltre misura, mettendo nell’angolo l’altra metà delle facoltà dello spirito umano e inducendo a trascurare strumenti di conoscenza che possono talora perfino giungere là dove la ragione non arriva.

In effetti, i giuristi hanno qualche volta tentato una rivincita sul razionalismo, cercando di trarre da un fondamentale e originario “sentimento del diritto” degli esseri umani norme di giustizia sottratte alle critiche relativistiche alle quali sono esposte le nozioni puramente razionali. Questo sentimento consisterebbe nella naturale reazione contro azioni che repellono, prima e indipendentemente dall’esistenza e dalla conoscenza di una norma che le vieti. Insomma, una sorta di giusnaturalismo del sentimento, invece che della ragione, con questa essenziale differenza: che il primo, diversamente del secondo, non pretende di costruire la giustizia in terra ma si limita a rivoltarsi contro l’ingiustizia. Non è lo stesso.

Il sentimento dell’ingiustizia si ribella all’inferno in terra; la scienza della giustizia mira a costruirvi il paradiso. Soprattutto, il sentimento di ingiustizia è dei deboli e degli oppressi; la scienza della giustizia, dei forti e, forse, degli oppressori.

Questo spostamento dalla scienza al sentimento, dalla ragione alla percezione, potrebbe tuttavia sembrare anch’esso destinato al fallimento, esattamente come i tentativi di racchiudere la giustizia in un formula astratta. I sentimenti di giustizia degli uomini sono diversi e contrastanti: quelli dei possidente che vive di rendita non saranno gli stessi del disoccupato o dei lavoratore salariato con posto di lavoro a rischio; quelli del filantropo, non gli stessi del misantropo; del cosmopolita, non del nazionalista razzista; del mite, non del prepotente, ecc..

Questa osservazione è giustificata in quanto dal sentimento di giustizia si pretenda troppo. Se si esagera, effettivamente la critica che fa leva sulla relatività dei contenuti, fa breccia. Occorre rimanere al minimo, che, proprio in quanto tale, è fondamentale.

Il minimo fondamento sta nella risposta alla grande domanda di tanto in tanto riaffiorante, ma sempre accantonata con senso di fastidio: se si possa mai accettare il male inferto all’innocente – intendo il male inferto consapevolmente –, fosse pure per il fine più elevato, come la felicità del genere umano o l’armonia universale.

La sofferenza dell’innocente, la lacrima di un bambino, può stare in bilancia con il bene dell’umanità? La risposta, naturalmente, è no. Il bene non può consapevolmente fondarsi sul male. Se si è disposti a versare una lacrima innocente, si sarà disposti a versare fiumi di sangue. Basterà alzare il prezzo della felicità promessa. La risposta positiva alla domanda, a ben pensarci, oltre che moralmente insostenibile, sarebbe anche l’inizio della guerra di tutti contro tutti.

Ma qui vediamo la nostra ipocrisia, perché l’intera nostra storia è fondata proprio su questo intreccio di bene e male, moralmente ingiustificabile. Il primo celebre stasimo di Antigone, che celebra l’essere umano e le sue opere sotto l’ambiguità delle molte cose mirabili e al tempo stesso esecrabili (pollà ta deinà), esprime splendidamente ammirazione e costernazione di fronte a questa terribile duplicità. Al passo sofocleo, che Martin Heidegger considerava sintesi dell’intera storia dell’Occidente, si affianca il lamento dell’Ecclesiaste (7, 20): “Certo non vi è uomo giusto sotto il sole il quale, facendo il bene, non faccia il male”.

Il male inferto all’innocente, cioè l’ingiustizia assoluta, può razionalmente essere giustificato: come “prezzo” del progresso, per esempio.

Ma non è tollerabile esistenzialmente, quando entrano in gioco facoltà di percezione e comprensione diverse da quelle razionali. Sto parlando non dei mali naturali, rispetto ai quali non ci può essere che rassegnazione o disperazione: qui è all’opera l’humana conditio e non c’è nulla da fare. Parlo di chi, con la propria azione, coscientemente, anche se non intenzionalmente, produce fame, malattie, oppressione, sterminio di esseri umani. Non è questa la vista di un’ingiustizia rivoltante? Il sentimento di giustizia di tutti, al di là delle diverse idee di giustizia che professiamo, non si mobiliterebbe sol che se ne avesse chiara la visione?

Come è possibile l’indifferenza di fronte alla sofferenza dell’innocente, l’ingiustizia assoluta? Quella, ad esempio, inferta ai più innocenti tra tutti, i bambini e gli animali (“la debole cavallina dai miti occhi”), di cui parla Ivàn Karamazov, nel dialogo col fratello Alésha che introduce alla Leggenda del Grande Inquisitore: quell’ingiustizia che rende il mondo inaccettabile e trasforma in oscena bestemmia la promessa apocalittica (15, 3) dell’intervento divino che, alla fine dei tempi, ricondurrà tutto a “suprema armonia”: il torturato che si riconcilia col torturatore, la vittima col carnefice, il lupo con l’agnello. E la stessa cosa non avverrebbe, se solo le si vedesse, di fronte alle sofferenze di cui sono testimoni i volontari della solidarietà e dell’informazione che non disdegnano di guardare in faccia, senza filtro di teorie – teorie che consentono di darsi una ragione di qualsiasi, proprio di qualsiasi cosa –, la realtà degli ospedali del terzo e quarto mondo, delle periferie d elle megalopoli, delle strade di paesi tormentati da guerre, violenze, sfruttamento; la realtà dei luoghi di segregazione dove il dominio dell’uomo sull’uomo è assoluto; dei campi militarizzati di lavoro forzato infantile che sono le miniere di pietre preziose nell’Africa centro-meridionale e nell’America latina, eccetera, eccetera, eccetera.

Finché non si resterà insensibili di fronte a questi spettacoli ed essi continueranno a fare scandalo, il sentimento di giustizia non sarà spento.

Non si saprebbe dire se per natura o per cultura. Se si pensa alla sofferenza degli inermi offerta al divertimento delle plebi negli spettacoli pubblici, dall’antichità a qualche secolo fa, si dovrebbe dire: per cultura, non per natura. Nei tempi nostri, faremmo fatica a immaginare uomini di governo che si fanno belli di questa sofferenza, la producono consapevolmente per offrirla come dono all’opinione pubblica. Il giorno in cui essa genererà solo indifferenza o addirittura divertimento, il discorso sulla giustizia come valore generale sarà chiuso.

Ma non è ancora così. Le pratiche d’ingiustizia si compiono di nascosto e richiedono un senso di umanità anestetizzato dall’uso di sostanze intossicanti e un senso morale deviato con lavaggi ideologici del cervello. In condizioni normali non sarebbero possibili Sonderkommando e gli aguzzini dei lager nazisti, gli squadroni della morte in giro per il mondo, ci parlano di assunzione previa di alcool e droghe. La tecnologia della sofferenza all’opera in carceri speciali o in operazioni belliche specializzate presuppone l’indottrinamento intensivo dei suoi agenti. Sarebbe di grande interesse la lettura dei testi su cui si forma la psicologia di quanti sono impiegati In compiti al o oltre il limite del senso di umanità; sarebbe istruttivo partecipare ai “corsi di formazione” organizzati, con l’ausilio di psicologi, espressamente per loro. E altrettanto istruttivo è l’ottundimento delle coscienze ottenuto tramite la scientifica burocratizzazione o, secondo Hannah Arendt, banalizzazione della morte e del terrore, che pianifica i crimini e solleva le coscienze.

Al contrario, non risulta che per elaborare le idee “di giustizia” del darvinismo sociale – cioè l’applicazione alla razza umana del principio della sopravvivenza del più forte e dell’annientamento del più debole – o della divisione dell’umanità in razze superiori e inferiori, tanto per fare l’esempio di due dottrine criminali, sia stata necessaria l’assunzione di sostanze. Non risulta cioè che Spencer o Gobineau abbiano dovuto forzare artificialmente la loro natura per scrivere Individuo e Stato o Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane.

Non si devono però squalificare teorie e idee generali. La rivolta all’ingiustizia ha alla base una propensione e una passione, ma abbisogna della ragione. A questa compete individuare le cause del male da estirpare e proporre misure per eliminarle. Ma non si tratta di idee e teorie di giustizia come progetti politici. La giustizia viene prima, la politica dopo; la politica è funzione della giustizia, non il contrario; la giustizia non è valore finale ma principio o movente della politica. Essa sta alle nostre spalle, come dovere morale impegnativo; non sta davanti a noi, come il sol dell’avvenire che dobbiamo rincorrere. La differenza è radicale: come principio di ogni nostra azione, la giustizia non può mai giustificare un’ingiustizia, un mezzo ingiusto; come valore a cui tendere, potrebbe giustificare qualunque cosa sia ritenuta necessaria per raggiungerlo. La giustizia come principio, ma non come valore, contrasta evidentemente con le filosofie della storia orientate ai grandi orizzonti del progresso dell’umanità, ma insensibili alle sorti personali di milioni di esseri umani, sempre posposte, ai progetti di potenza di regni e repubbliche, gerarchie religiose e sistemi economici, oggi inneggianti al mercato illimitato.

L’interrogativo urgente che la giustizia solleva nei nostri giorni è quello dell’accettabilità in nome suo dell’uso della forza, della guerra, in quanto ci siano di mezzo popolazioni inermi, o anche soltanto (soltanto?) individui – i soldati – la cui libertà è costretta dalla necessità o dalla disciplina.

La risposta all’interrogativo, secondo la giustizia degli inermi e degli innocenti, è no, mai.

Se si risponde di sì, in quanto vi sono violenze giustificate in guerre dettate da giusti motivi, ciò significa che la giustizia è vista dalla parte non delle vittime ma dei potenti, per i quali la parola giustizia è un mezzo per celare altre cose, come la politica di potenza, la difesa della sicurezza e del livello di vita, l’identità religiosa, eccetera: cose più o meno nobili che, comunque, sono diverse e hanno altri nomi.

Possiamo terminare così: la giustizia è l’altra faccia di ogni cosa. Ogni cosa può essere vista da due lati, quello del potere e quello di chi subisce il potere.

Non si approprino i potenti di quello che loro non spetta ed è spesso l’unica risorsa che resta agli inermi: l’invocazione di giustizia.

Non pretendano di rendere unico ciò che è sempre duplice, di confondere con la giustizia la loro forza e le loro mire.

Lascino la giustizia a chi ne ha fame e sete.

Noi rammentiamo ancora una volta, col deinòs di Antigone e con le parole dell’Ecclesiaste, l’intimo intreccio di bene e male e comprendiamo che, in tutte le cose, la giustizia ha a che fare con il lato del dolore, con l’inferno in terra delle nostre società, non con il lato del benessere, con il paradiso che gli uomini di potere fanno mostra di voler realizzare attraverso i loro programmi.

05/08/08

Rimini: la cupa estate del lavoro nero

LABORATORIO SOCIALE PAZ

di Laboratorio Sociale PAZ

[Il 9 giugno di quest'anno, dopo una lunga resistenza, il Laboratorio sociale occupato PAZ di Rimini è stato sgomberato, da una giunta di centrosinistra accecata dal mito ormai universale della "legalità". "Legalità" che nessuno si sognerebbe di imporre allo spietato sfruttamento su cui si regge l'industria delle vacanze nella riviera romagnola. Per fortuna il PAZ non si è lasciato tacitare, e ha condotto questa inchiesta, a nostro avviso straordinaria.]

La sicurezza dello sfruttamento

Gli strumenti di analisi. Ovvero la narrazione dello sfruttamento Per affrontare un discorso serio e realistico sullo sfruttamento delle lavoratrici straniere stagionali nel territorio della riviera romagnola, era necessario creare una sorte di ponte per aprire un "varco", ovvero una comunicazione diretta con le stesse lavoratrici/lavoratori del mercato turistico.

Da qui l'idea di scegliere i mercati serali di Cesenatico come luogo d'incontro nell'ottica di un approccio informativo sui diritti negati nel mondo del lavoro turistico.
Gli incontri sono avvenuti due volte alla settimana verso le ore 22 lungo le strade del mercato a ridosso dei luoghi di sfruttamento: ovvero gli alberghi.
Inizialmente siamo stati affiancati da Viorica un'amica romena di una compagna del Paz conosciuta a Cesenatico quattro anni fa in albergo dove entrambe lavoravano come cameriere ai piani. Il suo aiuto è stato fondamentale perché ci ha presentato a diverse connazionali che già conosceva.
Viorica, ha rappresentato una garanzia per tutte coloro che mostravano timore e diffidenza nel parlare dei loro problemi a persone considerate altre ed estranee.
Con l'aiuto di volantini tradotti in romeno che illustravano la tabella delle tariffe salariali contemplate nel contratto nazionale per i lavoratori stagionali del settore turistico, abbiamo cercato di far capire che era possibile attivare una vertenza sindacale per ottenere una giusta retribuzione, dal momento che lo stipendio di una lavoratrice/lavoratore comunitario si aggira sui 1000 euro mensili per 13 - 14 ore giornaliere di lavoro, senza giorno di riposo.
Ciò che è emerso da questi incontri è la paura ed il timore di perdere il posto di lavoro dopo un'eventuale vertenza sindacale: "Dopo tutto 1000/1200 euro al mese rappresentano un buon stipendio per una romena, e se per assurdo lo stipendio romeno si equiparasse a quello italiano, gli albergatori tornerebbero ad assumere personale solo italiano e per noi non ci sarebbe più posto".
Va detto che queste donne, fino a due anni fa, quando la Romania era un paese non comunitario, erano totalmente nelle mani di aguzzini italiani e romeni, che senza scrupoli chiedevano 700/800 euro per un contratto di lavoro. I contatti avvenivano nel luogo di origine, e la trattativa coinvolgeva la lavoratrice, "l'aguzzino/mediatore" romeno, "l'aguzzino/mediatore" italiano e l'albergatore.
La lavoratrice entrava in Italia con tutti i documenti necessari in regola, vale a dire: contratto di lavoro ed il visto dell'ambasciata italiana; poi veniva consegnata ad un "terzo" che l'accompagnava alla questura per ritirare il permesso di soggiorno. È chiaro che il condizionamento subito da tutti questi soggetti sia italiani che romeni è stato talmente forte da impedire, ancora oggi, di muoversi in maniera autonoma nel rapporto con il datore di lavoro, e soprattutto nell'ottica di una giusta retribuzione, dal momento che la paga odierna è ancora quella che i vari soggetti imponevano.

Il ruolo dei mediatori. La tratta di mano d'opera neocomunitaria a basso costo

Oggi il ruolo degli "mediatori/aguzzini" romeni ed italiani si è ridimensionato con l'entrata della Romania nell'Unione Europea, sia perché molte di coloro che hanno esperienza tornano nei luoghi di lavoro già frequentati senza più bisogno di figure che si interpongano nella trattativa; mentre differente è la situazione per quelle lavoratrici/lavoratori comunitari alla prima esperienza ancora dentro il meccanismo di una vera e propria tratta transnazionale.
Il grosso problema rimane ovviamente anche per tutte quelle lavoratrici non comunitarie, soprattutto quelle lavoratrici e lavoratori provenienti dal territorio dell'Africa subsahariana che sono fortemente criminalizzate e discriminate per il colore della loro pelle.

Dall'informazione alle storie di vita.Il realismo dello sfruttamento

Col passare dei giorni gli incontri si sono intensificati, tant'è che il nostro ruolo non è stato più solo quello di un approccio di tipo informativo/legale, determinato dalla distribuzione delle tabelle salariali di categoria tradotte in rumeno, ma anche quello di raccogliere, attraverso la narrazione, le testimonianze delle svariate forme di sfruttamento. Perciò la storia di "Maria" e quella di "Viorica" e di "Anna" e ti tante altre donneŠ.
Questi incontri ci hanno dato la possibilità di conoscere una realtà locale guardando oltre quell'immagine stereotipata dei lustrini e del divertimento che il nostro territorio offre ai turisti, uno sguardo altro e un approccio umano verso il problema del lavoro stagionale e dei molteplici rivoli di sfruttamento e di assenza di tutele che questo particolare dispositivo di accumulo capitalistico del nostro territorio rappresenta.
Dall'altra parte queste donne hanno avuto la possibilità di rompere il muro del silenzio, condizione necessaria per riuscire a scalfire quel muro innalzato da una sorta di clan mafioso italiano ed estero che gestisce il mercato della forza lavora neocomunitaria, quella maggiormente ricattabile e sfruttabile. Alcuni operatori di categoria hanno consegnato il nostro paese alle varie mafie che gestiscono il flusso transnazionale di lavoratori comunitari fin dai paesi di origine, solo per vedersi ingrossare il loro portafoglio.
A questo punto non bastava solo raccogliere testimonianze da parte delle lavoratrici stagionali sulla loro condizione di sfruttate e umiliate, occorreva una analisi e una maggiore conoscenza del fenomeno per un approfondimento, se non esaustivo quantomeno realistico, dei meccanismi che soggiacciano questa forma di sfruttamento, ex ante, in itinere, ex post.

Come fare?

Abbiamo deciso di conoscere questo ambito attraverso la registrazione e l'analisi di alcune telefonate ad albergatori ed associazioni di categoria che ci hanno permesso di ricostruire la struttura che alimenta e sostiene questo vero e proprio mercato della forza lavoro stagionale.

Inchiesta telefonica. Primo scenario ricostruito: I controlli INPS

Spacciandoci per albergatori, abbiamo inscenato una situazione tipo, che potesse essere il più possibile credibile, in modo tale che l'interlocutore telefonico (albergatore) ci raccontasse il meccanismo di tam tam fra i vari operatori ogni qual volta ci sono i controlli degli ispettori INPS. Spacciandoci come "signora X", titolare dell' "hotel X" di Cesenatico o Rimini, abbiamo chiamato al telefono il signor X proprietario dell'hotel X, raccontando di aver avuto visita da parte degli ispettori INPS.
Naturalmente la telefonata aveva come finto scopo quello di avvertirlo. È, infatti, buona consuetudine, e rappresenta "solidarietà" da parte degli albergatori avvertire telefonicamente i colleghi allorché si presentano queste situazioni, perciò il signor X non ha avuto nessuna riserva a ringraziarci dell'informazione e a dirci che avrebbe avvertito tutto il personale a prepararsi a raccontare, come da copione il falso ovvero: "lavoro 6 ore 40 minuti al giorno ed ho un giorno libero".
Con lo stesso copione abbiamo chiamato il signor Y proprietario dell'hotel Y, il quale non prima di averci infinitamente ringraziato, si apprestava anch'esso ad avvertire il personale. Va aggiunto che le lavoratrici sia straniere che comunitario o italiane subiscono una forte pressione psicologica da parte dell'albergatore quando si tratta di essere interrogate dagli ispettori dell' INPS.
Questo avviene sia prima di essere assunte che durante l'intero periodo di lavoro.

Secondo scenario ricostruito: serve manodopera. Ecco i mediatori

In veste di albergatori abbiamo chiamato alcune associazioni di categoria. Anche in questo caso abbiamo inventato una situazione tipo. Abbiamo chiamato fingendoci la "signora Z" dell' "hotel Z" che cercava un mediatore che potesse procurarle personale romeno a basso costo e già preparato, l'operatrice che ci ha risposto non ha avuto alcun problema nel dettarci il numero telefonico del signor G collaboratore di alcune associazioni di categoria.. Abbiamo chiamato il sig. G chiedendo informazioni sull'assunzione di personale romeno a basso costo, nonché sull'affidabilità e la preparazione in caso di controlli INPS. Il sig. G ci ha assicurato che il personale, da lui trattato, è stato ben addestrato a rispondere agli ispettori INPS e ad adeguarsi allo stipendio relativamente basso per il monte ore di lavoro.
Sempre all'interno dello stesso argomento abbiamo telefonato al signor M. Il sig. M lavora presso una ditta che tratta il commercio di pesce e di altro genere alimentare e si occupa personalmente delle consegne presso gli hotel. Questo gli ha permesso di svolgere l'attività di mediatore diretto, per la tratta delle schiave romene, con gli albergatori. Purtroppo il sig. M è stato l'unico che si è rifiutato di parlare di certe cose al telefono: "è meglio vedersi di persona non si sa mai chi ci possa ascoltare!".
Le telefonate sono tutte state registrate.

Per riassumere.I mediatori. Ovvero chi recluta mano d'opera sfruttata e ricattabile

Nel corso di queste indagini telefoniche fatte ad alcune associazioni di categoria e albergatori del territorio della riviera romagnola, sono emerse tre figure che ricoprono il ruolo di mediatore e due agenzie che hanno sede una a Bellaria e una a Riccione.
I mediatori sono due italiani residenti rispettivamente a Cesenatico e a Rimini, e un romeno residente a Cluj in Romania.
Questi signori si sono spartiti il tratto di costa da va da Cervia a Riccione procurando personale agli albergatori, accertandosi che lo stesso personale fosse addestrato e consapevole della bassa remunerazione economica nonostante il monte orario di lavoro.
Il mediatore residente a Rimini gestisce due agenzie di reclutamento in Romania, mentre in Italia collabora con varie associazioni di categoria e non ha una sede fisica propria in loco, per cui è possibile contattarlo solo telefonicamente e solo in seguito incontra i propri fruitori direttamente negli alberghi interessati.
Il mediatore di Cesenatico non ha agenzie né qui, né in Romania, e come il precedente viene contattato telefonicamente dagli albergatori. Collabora con le associazioni di categoria, ma è l'unico che si è rifiutato di parlare di affari al telefono.
La terza figura è un romeno che ha due agenzie di reclutamento in Romania, ha un'agenzia di trasporti che utilizza per far arrivare il personale in Italia, non ha agenzie in Italia, e collabora con le associazioni di categoria.
Abbiamo potuto appurare che le tre persone si conoscono.

I costi della tratta finalizzata allo sfruttamento nel mercato lavorativo del turismo

Le lavoratrici e i lavoratori romeni, quando la Romania era paese non comunitario, dovevano pagare, a questi signori, 700-800 Euro per ottenere un contratto di lavoro: nella cifra era compreso l'espletamento della pratiche burocratiche e relative al visto rilasciato dall'Ambasciata Italiana, e dal permesso di soggiorno consegnato dalla Questura una volta entrati in Italia. L'albergatore doveva pagare a questi fantomatici mediatori dalle 200-300 Euro per ogni persona assunta.
Ora che la Romania fa parte dell'Europa Unita, i lavoratori romeni che si rivolgono ai mediatori pagano 300-400 Euro, mentre la tariffa per gli albergatori va dai 100 ai 200 Euro.
Va ricordato che il contratto di lavoro che viene stipulato dal datore qui in Italia è l'unico che ha valore legale, tutto ciò che viene firmato al di fuori di questo rapporto non ha alcun valore. A ciò si aggiunge che dopo i tre mesi di duro lavoro stagionale all'interno degli alberghi/bar/ristoranti della costa romagnola, queste persone vengono riaccompagnate o meglio rimpatriate in Romania, non avendo nemmeno potuto adempiere alla necessaria iscrizione anagrafica presso i vari Comuni, iscrizione anagrafica che garantisce il diritto sia all'assistenza sanitaria, sia alla disoccupazione, nonostante il contributo in termini di lavoro e di tasse versate allo "STATO".
Quando si parla di sicurezza che almeno la sicurezza abbia un volto, quello degli sfruttati, di chi rischia la propria vita ogni giorno per sopravvivere, di chi per lavorare si ammala o muore. Di chi sotto il velo della legalità lucra e crea nuove mafie. Questo è il vero volto dell'abusivismo. Parlare di altro è fingere, perché l'essenziale è invisibile agli occhi.

Riflessioni conclusive

Quello che ha caratterizzato maggiormente la riviera romagnola negli ultimi anni e che ogni semplice turista non può fare a meno di notare, è sicuramente la militarizzazione della spiaggia. Una presenza massiccia ed asfissiante delle forze dell'ordine tra gli ombrelloni, elicotteri della polizia che sorvolano continuamente l'arenile, quad e jeep che hanno scambiato la battigia per un'autostrada, ronde di volontari paramilitari decisi a combattere ad ogni costo il vero ed unico nemico dell'estate romagnola: il venditore ambulante. Si sono aggiunti anche gli ulteriori strumenti del controllo e della detenzione "a cielo aperto", gli spray urticanti al peperoncino. Una guerra a bassa intensità, assurda ed incomprensibile, asservita alle volontà delle lobby che governano questo territorio: i commercianti e gli albergatori.
Mentre in città si discute di progetti urbanistici stratosferici e miliardari per rivoluzionare il lungomare, magari con ulteriore cemento e grattacieli, la maggior parte degli alberghi non hanno mai subito interventi di ristrutturazione, ammodernamento, messa in sicurezza nonostante cadano a pezzi, come quello di poche settimane fa a Rivazzurra, l'Hotel Venere. Ciò è avvenuto con il silenzio quasi totale degli amministratori e senza assumere alcun rilievo sulla stampa nazionale, per un fatto che, di certo, avrebbe potuto avere conseguenze tragiche, sia per i turisti che per i lavoratori dell'albergo, ma che non avrebbe fatto pubblicità alla riviera e alla sua stereotipata immagine di lustrini e divertimento.
La situazione drammatica, che tutti conoscono ma che nessuno vuol vedere e di cui nessuno vuole parlare, è quella dello sfruttamento del lavoro stagionale. Il turismo nella riviera romagnola si regge sulle spalle di migliaia di lavoratori e lavoratrici "invisibili", perlopiù romeni, che ogni anno vengono assunti parzialmente in regola, con contratti "grigi" part time, per lavorare, in realtà, dalle dieci alle quattordici ore giornaliere, senza neanche un giorno di riposo, con uno stipendio mensile di 1000/1200 euro, ovviamente senza alcun diritto o tutela sindacale e con la minaccia e la paura costante del licenziamento.
Lo scenario che oggi si profila e che abbiamo ricostruito anche grazie ad una mini inchiesta che sarà approfondita nei prossimi mesi dal nostro collettivo politico, è ancora più tetro e agghiacciante: una filiera di rapporti, di reti, che coinvolgono direttamente albergatori, associazioni di categoria e mediatori assoldati a tale ruolo, che creano canali per una vera e propria tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento stagionale all'interno del mercato turistico della riviera romagnola, da Cesenatico a Cattolica. Sono state costruite ed implementate, e non sono nemmeno troppo occultate, catene schiavistiche transnazionali per "l'importazione di manodopera addestrata" dai paesi comunitari (principalmente della Romania), manodopera addestrata per avere sempre la certezza di personale sempre più ricattabile, a basso costo e senza alcuna tutela. Gli stessi cittadini comunitari romeni che hanno occupato le cronache degli ultimi mesi e sono stati etichettati con tutti i possibili e svariati aggettivi spregiativi e denigratori, i delinquenti numero uno da espellere contro il degrado delle città italiane, in realtà l'anello debole dell'Europa fortezza, il capro espiatorio delle false paure immessi poi nel mercato dello sfruttamento.
Questa è la vera insicurezza, questa è la vera piaga dell'estate romagnola.
Siamo stanchi delle menzogne e delle logiche che producono false paure e nascondono le vere illegalità, come lo sfruttamento stagionale dei lavoratori comunitari, e ci rivolgiamo a quei cittadini in movimento, coloro che si adoperano oggi in tanti settori e realtà del volontariato, dell'associazionismo, delle vertenzialità dal basso, convinti che al di fuori dei palazzi, che rappresentano quel potere sempre più efferato, sia possibile costruire vertenze e coscienze per risollevare le sorti di questa città insieme a chi subisce l'altra faccia del turismo e del vero abusivismo, questo si, commerciale.
Bisogna avere il coraggio di indignarci e di dire basta a un'economia e a un processo di accumulazione capitalistica che fonda il suo benessere e il suo nutrimento sullo sfruttamento delle persone, dei lavoratori e delle lavoratrici comunitari che ogni estate producono la ricchezza di questo territorio.

http://www.carmillaonline.com/archives/2008/08/002732....

www.sergiofalcone.blogspot.com

03/08/08

Recensione di Alessandro Robecchi al nuovo libro (postumo) della Fallaci

Aiuto! La Fallaci ci fa una saga!

Allarme rosso. Sta per essere sganciato nelle librerie italiane il libro postumo di Oriana Fallaci. Ha più pagine della guida del telefono ma è molto meno divertente, è più melodrammatico e il Corriere ne parla molto bene dato che se le cose vanno come si spera la Rizzoli pagherà gli stipendi dei prossimi anni grazie a questo polpettone di 823 pagine presentato come una grande saga.
E’ la storia degli antenati della Fallaci, c’è quella che manda affanculo Napoleone, c’è quello che sgozza venti algerini e via di qusto passo, come vedete si tratta sempre di gesti molto misurati, in perfetto stile Fallaci. Lei chiama i suoi antenati "arcavoli", insomma, scrive degli arcavoli suoi, ma leggere il libro sono arcazzi nostri. E infatti già compaiono nelle cronache gli effetti collaterali del nuovo libro. Un pensionato di Foggia si è procurato un’ernia del disco soltanto portandolo fuori dalla libreria. A Udine, un fan della Fallaci ha chiesto indietro i soldi al libraio una volta constatato che nelle prime cinquanta pagine non si dà ancora dello stronzo a nessuno. L’edizione araba avrà un meccanismo esplosivo che ucciderà chi lo legge (ma scattando soltanto a metà volume, si suppone che non morirà nessuno).
Se le cose vanno male, i volumi invenduti saranno impilati e regalati alla città di New York per formare due nuove torri gemelle. In ogni caso per ora la critica è unanime. Il Corriere della Sera ne ha parlato molto bene (è lo stesso editore del libro). Il Magazine del Corriere della Sera ne ha parlato molto bene (è lo stesso editore del libro). Nelle altre redazioni non si è ancora deciso chi deve leggerlo e recensirlo, ma i maggiori critici letterari hanno chiesto un’assicurazione contro l’orchite.
Eroicamente, questo piccolo sito si immolerà per voi: appena mi prestano un furgone andrò a comprarlo e vi illuminerò sui moltissimi personaggi. Arcavoli della Fallaci. Arcazzi miei.
Nella foto, il libro postumo della Fallaci. Costa 25 euro, con i quali potreste più costruttivamente comprare 50 chupa-chups

www.alessandrorobecchi.it


02/08/08

Esercito in Calabria, ma non per la ndrangheta.

Lo confesso , ci aspettavamo l’arrivo dell’esercito in Calabria !
E se fosse successo lo avremmo criticato come abbiamo sempre fatto. Questo perché crediamo che la lotta alla ndrangheta si faccia con altri mezzi che non sono quelli esclusivamente militari ma essenzialmente legati alla situazione sociale in cui versa la nostra regione. La ndrangheta ha paura del suo impero finanziario ed è attraverso i sequestri che si sente colpita. Ma ci viene spontanea una domanda,cercando di entrare nel cervello di Maroni, di La Russa e degli altri geni della nostra politica di governo: se questo è un pacchetto sicurezza, uno si immagina che questi soldati vengano mandati nelle zone a rischio. Zone dove avvengono omicidi in continuazione, dove c’è un clima di oppressione, dove ci sono intimidazioni contro le istituzioni, i sindaci non allineati, gli amministratori. La Calabria ci sembra che sia il terreno ideale per questo tipo di ragionamento.
Ci sono i nostri bravi duecento omicidi all’anno; ci sono le puntuali intimidazioni con invio di proiettili in busta; ci sono omicidi eccellenti come quello di Fortugno; c’è un organizzazione criminale considerata la più potente del mondo ; ci sono aree del territorio calabrese completamente sotto il controllo della ndrangheta grazie alla commistione fra criminalità e politica come hanno dimostrato recentemente le inchieste sul porto di Amantea e quello di Gioia Tauro, c’è infine un consiglio regionale con una trentina di indagati per diversi reati ed una caterva di inchieste in corso che vanno dall’eolico alle assunzioni dove vi sono coinvolti a vario titolo trafficanti vari, politici e faccendieri. Insomma abbiamo tutto ciò che serve per avere il nostro bravo esercito. D’altra parte le cronache quotidiane danno ragione ad un emergenza vera in Calabria. Il 1 febbraio viene assassinato Rocco Molè, boss di spicco; il 2 febbraio Giovanni Filianoti, agente generale Ina Assitalia di Reggio Calabria; l’11 febbraio Giuseppe Galdy, 50 muratore, incensurato; 22 marzo Luca Megna, figlio del boss Domenico, nell’attentato vengono gravemente ferite la bambina di 5 anni, in coma, e la moglie; il 25 marzo Giuseppe Cavallo 27 anni, parente di Pantaleone Russelli, boss del clan rivale di Megna, nell’agguato viene ferita la moglie. Il 26 marzo Antonio Longo, 50 anni imprenditore; il 27 marzo Francesco Campicchiano, 33 anni; il 29 marzo Silvestro Galati 21 anni genero del boss Demetrio Carmine Santaiti;l’ 8 aprile Antonio Lopreiato, 46 anni, commerciante;il 18 aprile Giulio Cesare Passafaro, 40 anni, pregiudicato; il 30 aprile Gino Benincasa, 65 anni, imprenditore ittico, ex consigliere comunale, indicato come elemento vicino alla ‘ndrangheta. Il 29 marzo viene ferito Giuseppe Liotti ; il 4 aprile vengono esplosi 11 colpi di fucile contro la casa del sindaco di Scandale; il 12 aprile vengono accoltellati Angelo e Pasquale Cammareri; il 20 aprile viene incendiata la casa del vicesindaco di Isca ; il 22 aprile esplode una bomba carta nell’auto di Francesco Zangari assessore ai lavori pubblici del comune di Sant’Agata del Bianco; sempre il 22 aprile viene sciolto il consiglio comunale di Gioia Tauro per infiltrazioni mafiose; il 27 aprile viene data alle fiamme un’auto dei Carabinieri di Stilo. Il 28 aprile il drammatico attentato a Antonino Princi a Gioia Tauro, l’imprenditore sopravvive ma perde braccia e gambe; ancora il 28 aprile attentato incendiario contro l’azienda di trasporti di Antonio La Valle, vengono dati alle fiamme 30 autobus e perdono il lavoro 50 operai.
Il 5 maggio a Reggio Calabria viene assassinato Antonio Gulli, 40 anni ex collaboratore di giustizia. Il 31 luglio a Lametia in pieno centro è stato assassinato Bruno Cittadino.

Peraltro bastava leggere l’ultimo rapporto dell’Eurispes per restare annichiliti . La 'Ndrangheta, si legge nel rapporto, viene considerata una vera e propria holding internazionale in grado di fatturare nel 2007 poco meno di 44 miliardi di euro, pari al 2,9 per cento del prodotto interno lordo italiano. Un giro d'affari equivalente alla ricchezza nazionale prodotta insieme da Estonia (13,2 miliardi di euro) e Slovenia (30,4 miliardi di euro). L'istituto ha localizzato 131 cosche attive in Calabria: ben 73 sono nella sola provincia di Reggio Calabria, 21 a Catanzaro, 17 a Cosenza, 13 a Crotone e 7 a Vibo Valentia. Di cosa campano queste cosche ? Del traffico di droga prima di tutto. Un introito per 27.240 milioni di euro,oltre il 62 del monte profitti illeciti. Poi viene l’infiltrazione nel settore dell'impresa, qui il fatturato dei gruppi criminali locali è stimato in 5.733 milioni. Completano i proventi illeciti i mercati di estorsione e usura (5.017 milioni), traffico di armi (2.938), mercato della prostituzione (2.867 milioni di euro).
Da questo drammatico elenco , dove sarà sfuggito molto altro, immaginavo già i carriarmati nella piazza centrale di Locri, i servizi di pattugliamento lungo le dorsali dell’Aspromonte e della Sila, tipo Afganisthan; i posti di blocco con tanto di mitraglietta che avrebbero potuto farti fare la fine del povero Calidari, militari in pattuglia presso il porto di Gioia Tauro, e via dicendo. Ed invece , l’esercito per tutto questo, non lo mandano, anzi lo mandano, ma altrove. A controllare gli ultimi della terra.
L’esercito si , ma senza rompere equilibri e non sottoporre i nostri giovani militi a qualche tiro incrociato di qualche ndranghetista che potrebbe essere scoperto con le mani in pasta con qualche valigetta di cocaina o di danaro destinato al riciclaggio in qualche catena di supermercati.
Meglio mandarli, in posti tranquilli, tipo a Crotone ed a Lametia.
Città dove , comunque, la ndrangheta non scherza. Città dove gli interessi malavitosi avevano già messo gli occhi su grandi iniziative edili quali l’Europaradiso a Crotone. Ma nemmeno per questo arriva l’esercito. Arrivano, e adesso lo dico per non spazientire i miei lettori, per i due Centri di espulsione, come si chiamano adesso, ex centri di permanenza temporanea (CPT). E sì avete letto bene. L’esercito arriva per questi disgraziati. Per controllare che stiano ben chiusi fino a quando dopo più di anno potranno essere di nuovo rimandati a morire di fame, di stenti e di guerra nei loro paesi d’origine. 100 soldati vigileranno sui disgraziati di Crotone all’interno del grande centro di accoglienza davanti l’aeroporto di Sant’Anna, e 30 sui disgraziati di Lametia rinchiusi nel centro gestito dalla cooperativa Malgrado Tutto. Insomma come tutte le leggi e leggine ,decreti e decretini, del governo Berlusconi, anche questo è un grande fumo negli occhi degli italiani desiderosi di “legge ed ordine”. I 3000 militari dislocati nelle cosiddette aree a rischio , non serviranno a nulla se non a buttare al vento un fiume di danaro. Ci saranno un militare ogni dieci comuni, alla fine , e qualche uomo in più che girerà insieme a poliziotti e carabinieri, e serviranno per qualche incauto scippatore di borsette, qualche tossico rubagalline, le discariche che le popolazioni non vogliono, ed infine per sorvegliare gli ultimi della terra che continuano a sbarcare nonostante le restrittive e razziste leggi sull’immigrazione , rinchiusi nei piccoli lager rinominati CEI .
Di questo saranno ben felici sicuramente i dirigenti dei due centri calabresi. Ce ne siamo più volte occupati sia del Centro di Crotone che di quello di Lametia. Non ci sono le condizioni umane per ricevere tutta quella gente in quanto al loro interno non ci sono le necessarie strutture sanitarie, né la possibilità che questa gente lì rinchiusa per 18 mesi possa tranquillamente avere le più elementari garanzie di trattamento umanitario. Non a caso piovono dal Consiglio europeo continue reprimende contro le nostre nuove leggi e contro i pestaggi e maltrattamenti che spesso sia i rom che gli immigrati subiscono al momento di essere fermati dalle forze dell’ordine. I due centri calabresi non sono in grado oggi come ieri ad assolvere i compiti per i quali sono stati chiamati. Dalle continue visite fatte da parlamentari di ogni schieramento politico sono sempre venute fuori storie di maltrattamenti e di suicidi. Ma ora ci sarà l’esercito e tutto sarà diverso. In cosa non lo sapremo mai. Intanto la ndrangheta potrà continuare nei suoi traffici, uno dei quali è proprio il controllo degli sbarchi e della gestione insieme ad organizzazioni criminali africane del traffico degli uomini che pagano cifre enormi nella speranza di realizzare il sogno europeo. Un sogno che si infrange sul bagnasciuga calabrese.

su Mezzoeuro del 2 agosto 2008

http://calabria.indymedia.org
Link correlati: http://scirocco.blog.tiscali.it

29/07/08

Diario di una domenica nella palestra della rassegnazione

«I centri commerciali? Un rifugio collettivo dove sfuggire alla paura del vuoto e coltivare l'indifferenza: il sogno comune di borgatari e borghesia». Intervista allo scrittore Walter Siti: «Come nei reality show, vi si confondono artisti e impostori»
Pochi come Walter hanno saputo raccontare, sia pure nella forma di romanzo, le borgate romane e chi le abita. A cominciare dal titolo, Il Contagio, il suo ultimo libro teorizza l'inversione del processo, che Pasolini descriveva quasi 40 anni fa in Petrolio, di «borghesizzazione del proletariato» attraverso l'accesso alla società dei consumi.

Giovani, squattrinati e incantati dalle vetrine
Anche se un po' a malincuore, Mirco e Simona questa domenica hanno deciso: niente mare. All'acqua non proprio cristallina di Ostia hanno preferito l'aria condizionata del centro commerciale, fresco di taglio del nastro. Stessa strada da percorrere: si imbocca via Cristoforo Colombo ma invece di proseguire dritto verso le spiagge del litorale romano, si gira a destra e si entra nel più grande shopping center del vecchio continente

La realtà della mia città purtroppo non si differenzia dal resto di questo "piccolo" paese:
provinciale e materialista fino al midollo e che continua a nutrirsi di cose e dei "nulla" che gli vengono proposti
piuttosto che fermarsi a pensare alla situazione della sua vita. Un' assuefazione che sta spappolando la testa
a giovani e vecchi, come descritti nell'articolo: senza soldi per acquistare, solo per vivere la favola di
passarci vicino a quelle cose, si portano anche il pranzo e passano lì intere giornate.
Anche questo è degrado, non sono solo i Rom a viverci.

28/07/08

Docenti e studenti degli atenei italiani uniti nella contestazione del 112/2008. Che taglia i fondi, blocca le assunzioni. E apre ai privati

Riforma per decreto

Docenti e studenti degli atenei italiani uniti nella contestazione del 112/2008. Che taglia i fondi, blocca le assunzioni. E spalanca la porta ai privati

di Elisa Manacorda

 A dispetto delle previsioni che dicono pioggia, questa sarà un'estate calda. Anzi torrida. Soprattutto negli atenei italiani. Dove già ora studenti, ricercatori e docenti sono uniti – nel quasi totale disinteresse (o ignoranza) dell'opinione pubblica – in una battaglia per la sopravvivenza stessa delle università. L'obiettivo della lotta, che ha già visto assemblee spontanee in molti atenei, documenti di condanna, allarmate prese di posizione e minacce di sciopero, è una vera e propria riforma dell'università sotto mentite spoglie, nascosta nelle righe del decreto legge 112 del 25 giugno 2008, presentato dal ministro dell'economia e delle finanze Tremonti e approvato in nove minuti netti dal Consiglio dei ministri. Il titolo del decreto - Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria – rimanda a concetti alti, suggerendo una strategia di innovazione volta al miglioramento delle condizioni economiche del paese. Dentro ci si trova un po' di tutto: dagli interventi di installazione della banda larga allo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi, passando per il risparmio della carta negli uffici pubblici. Ma è al capo V, su Istruzione e ricerca, che arrivano le note dolenti per l'università.

Intanto, la riduzione progressiva, in cinque anni, del Fondo di finanziamento ordinario, quello grazie al quale lo Stato trasferisce denari alle Università. Questo rappresenta la quota più consistente della parte attiva del bilancio degli atenei, seguita dalle somme pagate dagli studenti sotto forma di tasse e contributi. A questo proposito, il decreto recita testualmente: “l'autorizzazione legislativa di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a) della legge n. 537 del 1993, concernente il fondo per il finanziamento ordinario delle università, è ridotta di 63,5 milioni di euro per l'anno 2009, di 190 milioni di euro per l'anno 2010, di 316 milioni di euro per l'anno 2011, di 417 milioni di euro per l'anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013”. Un taglio complessivo di 1,443 miliardi di euro. L'Università di Roma “Sapienza”, dopo una giornata di mobilitazione, ha dichiarato che in queste condizioni non sarà possibile dare inizio all'anno accademico 2008-2009. Ha rincarato la dose Enrico Decleva, fresco di nomina alla presidenza della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (Crui), secondo cui “in queste condizioni il dissesto degli atenei, nel 2010, sarà inevitabile”. Il “magnifico” dell'Università dell'Aquila, Ferdinando Di Orio, ha proposto la dimissione in blocco di tutti i rettori. “Se non arriveranno segnali positivi con la Finanziaria 2009”, dice ancora Decleva, “siamo pronti a ogni tipo di iniziativa, se necessario anche di forte impatto”.

Più morbida, almeno per il momento, la linea del Consiglio Universitario Nazionale: “Comprendiamo la situazione di crisi, che è certamente seria, ma ci preoccupa la totale mancanza di prospettive. Se tagli ci devono essere”, dice a Galileo il presidente Andrea Lenzi, “ce ne venga comunicato l'ammontare, così che i singoli atenei possano stabilire i criteri della cura dimagrante. Tagliare in modo indiscriminato sembra più un modo per affossare il sistema universitario, che per migliorarlo”.

Ma a preoccupare il mondo universitario non è soltanto la drastica riduzione dei fondi. L'articolo 16 del decreto recita infatti: “le università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato”. Cosa significa? Intanto che tutti i beni immobili di proprietà delle università (dunque dello Stato, cioè dei cittadini) vengono trasferiti alle fondazioni private. Esentasse, per altro. Al rettore subentra l'amministratore unico, con ricadute sulle scelte in materia di didattica e di ricerca. Insomma, un sostanziale, progressivo e irreversibile disimpegno dello Stato nei confronti dell'università pubblica che finirebbe per colpire – come accusa il Senato accademico dell'Orientale di Napoli - anche la componente studentesca, perché le Fondazioni non dovrebbero rispettare il tetto del 20 per cento sul Fondo di finanziamento ordinario e dunque potrebbero aumentare le tasse a piacimento. “Non siamo contrari in linea di principio”, commenta ancora Lenzi, “ma occorre una regolamentazione molto più chiara: quali garanzie, quali vantaggi si avranno dall'eventuale trasformazione? Quante facoltà dovranno avere le Fondazioni? Quali tipologie di ateneo potranno beneficiare di più da questo passaggio? Un'Università statale è un ente pubblico, come un ministero. Ma a nessuno, nemmeno nelle culture anglosassoni più esasperate, verrebbe in mente di trasformare in Fondazione il dicastero di Viale Trastevere”.

E che dire dell'articolo che recita “il numero delle unità di personale da assumere non può
eccedere, per ciascun anno, il 20 per cento delle unità cessate nell'anno precedente”? Significa in sostanza che per ogni 100 professori in uscita, soltanto 20 giovani possono prendere il loro posto. Un vincolo che tra l'altro, per come è stato formulato, non tiene conto dei posti già banditi di professore e ricercatore e dei conseguenti impegni di assunzione già presi dalle università. “In un ateneo come il nostro”, dicono ancora all'Orientale, “questo blocco del turn over porterà inevitabilmente alla progressiva scomparsa di interi settori scientifico-disciplinari”. Il tutto accompagnato dal passaggio degli scatti stipendiali da due a tre anni, che ridurrà ulteriormente le remunerazioni, già tra le più basse d'Europa.

Ce n'è abbastanza, insomma, per far dire al presidente dei Rettori che siamo in pieno allarme rosso. Soprattutto: “Non è ammissibile che mutamenti di tanta portata del modello istituzionale e funzionale degli atenei possano essere definiti frettolosamente e sull'onda di mere considerazioni di spesa, per di più tramite un decreto legge”. In un paese che, come ha appena ribadito il Presidente della Repubblica, dovrebbe investire nella conoscenza, perché è qui che si gioca il suo futuro, la strada tracciata da Tremonti sembra andare in tutt'altra direzione.
fonte: Galileo

27/07/08

MALEDETTI PROFESSORI

Maledetti professori. Pretendono di insegnare in una società dove nessuno - o quasi - ritiene di aver qualcosa da imparare. Pretendono di educare in una società dove ogni categoria, ogni gruppo, ogni cellula, ogni molecola ritiene di avere il monopolio dei diritti e dei valori. Pretendono di trasmettere cultura in una società dove più della cultura conta il culturismo. Più delle conoscenze: i muscoli. Più dell'informazione critica: le veline. Una società in cui conti - anzi: esisti - solo se vai in tivù. Dove puoi dire la tua, diventare "opinionista" anche (soprattutto?) se non sai nulla. Se sei una "pupa ignorante", un tronista o un "amico" palestrato, che legge solo i titoli della stampa gossip. Una società dove nessuno ritiene di aver qualcosa da imparare. E non sopporta chi pretende - per professione - di aver qualcosa da insegnare agli altri. Dunque, una società senza "studenti". Perché dovrebbe aver bisogno di docenti?

Maledetti professori. Non servono più a nulla. Meglio abolirli per legge. E mandarli, finalmente, a lavorare.
ILVO DIAMANTI

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fonte repubblica.it

25/07/08

Lettera aperta al Presidente della Repubblica.

Roma, 25 Luglio 2008 - AgenParl - Come (sembra) disse Brenno:"guai ai vinti!". Il Cavaliere ed i suoi collaboratori sembrano essere intenzionati ad applicare alla lettera questo antico motto, L'opposizione (ammesso che mai ne sia esistita una) nulla può contro la strapotere dell'attuale governo, farcito di ottimi avvocati (fra i quali spiccano quelli del Cavaliere) e costituzionalisti di altissimo rango. Il Presidente della Repubblica del resto non versa in condizioni migliori dell'arco parlamentare che lo ha espresso, costretto a promulgare una legge abbondantemente riconosciuta incostituzionale, solo per quello che agli occhi dei "non addetti ai lavori" appare come un vizio formale.








Signor Presidente, La prego, venga in televisione a reti unificate a spiegare, con parole semplici e comprensibili a tutti noi, perchè ha promulgato il Lodo Alfano, ma più d'ogni altra cosa, ci spieghi perchè era necessaria una simile Legge e perchè era tanto urgente da farle seguire un iter preferenziale e così insolito. Perchè noi, persone della strada, davvero non capiamo! La prego, faccia un piccolo gesto... si avvicini al Suo popolo. Temo che ancora una volta si torni a guardare il dito che indica la Luna.


(Alessandro Guidetti)
fonte

24/07/08

Liberta' di stampa : Corte diritti dell'uomo condanna l'Italia

di Gabriella Mira Marq

Con una sentenza che costituisce un importante precedente, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ha condannato l'Italia per violazione dell'art. 10 (libertà d'espressione) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo per la vicenda dell'autore Claudio Riolo. Lo Stato italiano dovrà risarcire l'autore con 60.000 €, oltre 12.000 per le spese legali.

Nel novembre '94 "Narcomafie" (il mensile diretto da Don Ciotti) pubblica un articolo di Claudio Riolo (politologo presso l'Università di Palermo) intitolato "Mafia e diritto. Palermo: la provincia contro sé stessa nel processo Falcone. Lo strano caso dell'avvocato Musotto e di Mister Hyde". Si tratta di un commento critico alla decisione di Francesco Musotto, Presidente della Provincia di Palermo e avvocato penalista, di mantenere la difesa di un suo cliente, imputato nel processo per la strage di Capaci, mentre l'ente locale si costituiva parte civile nello stesso processo.

Dopo cinque mesi (aprile '95) Musotto avvia, nei confronti del solo Riolo, un procedimento civile per risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa, chiedendo 700 milioni di risarcimento (500 per danno patrimoniale e 200 per danno morale). Come risposta l'articolo viene ripubblicato in maggio su Narcomafie e sul quotidiano Il Manifesto (3/5/95), aggiungendo alla firma dell'autore quella di 28 esponenti del mondo politico e culturale "che lo fanno proprio, condividendone in pieno i contenuti e ritenendolo legittima espressione dell'esercizio della libertà di stampa, di opinione e di critica politica". Musotto non reagisce e non procede (né civilmente né penalmente) contro nessuno dei nuovi firmatari né contro le testate giornalistiche.

Dopo quasi sei anni di lungaggini processuali l'autore viene condannato in primo grado (da un avvocato in funzione di Giudice Unico della I^ Sezione Civile bis del Tribunale di Palermo) a pagare 80 milioni per danni morali, che con gli interessi pregressi diventano circa 118, e con quelli futuri 140. Dal giugno 2001 subisce il pignoramento di un quinto dello stipendio. Per esaurire il debito non sarà sufficiente il tempo che lo separa dalla pensione e, quindi, l'atto di pignoramento prevede esplicitamente anche l'indennità di fine rapporto. Riolo ricorre in appello e dopo circa due anni (aprile 2003) la I^ Sezione Civile della Corte di Appello di Palermo conferma la sentenza di primo grado.

L'autore ricorre in Cassazione nel luglio 2003. Dopo 3 anni e 8 mesi (marzo 2007) la III^ Sezione Civile della Corte di Cassazione deposita la sentenza che respinge il ricorso (nonostante il P.M. ne avesse accolto uno dei motivi). Dall'avvio del procedimento civile (aprile '95) sono passati 12 anni. Nel settembre 2007 Riolo presenta tramite l'avv.ssa Alessandra Ballerini del foro di Genova un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che nel luglio 2008 condanna l'Italia.

La Corte ha osservato che l'articolo incriminato e' stato basato sulla situazione in cui Musotto era al momento dei fatti. Non spetta alla Corte di esaminare se vi sia una incompatibilita', visto il ruolo svolto dalla persona interessata, tuttavia si trattava di una situazione che potrebbe dar luogo a dubbi circa la saggezza di scelte fatte da un alto rappresentante dell'amministrazione locale che deve affrontare un processo su fatti di estrema gravita'.

L'articolo e' stato comunque inserito in un dibattito di pubblico interesse in quanto riguardante una questione di interesse generale, tanto piu' che dal settembre 1994 la duplice funzione di Musotto era stata oggetto di numerosi articoli di stampa, essendo questi un politico che occupava al momento dei fatti un posto chiave nel governo locale ed essendo quindi le sue azioni soggette al controllo della stampa. Inoltre, egli sapeva o avrebbe dovuto sapere che continuando a difendere uno degli imputati in un importante processo per mafia mantenendo le sue funzioni di presidente avrebbe potuto trovarsi di fronte gravi critiche, anche se cio' non puo' privare Musotto del diritto alla presunzione di innocenza e di non essere oggetto di accuse senza fondamento fattuale.

Dopo aver esaminato l'articolo, tuttavia, la Corte ha ritenuto che l'articolo in questione non contenesse espressioni che implicassero apertamente che Musotto acesse commesso crimini o proteggesse gli interessi della mafia, ne' poteva essere letto nel senso che Musotto si fosse volontariamente legato agli ambienti della mafia, mentre esprimeva l'opinione che un funzionario eletto a livello locale dovrebbe essere influenzato, almeno in parte, dagli interessi di cui i suoi elettori sono portatori e "si tratta di un parere che non supera i limiti della liberta' di espressione in una società democratica".

Riguardo alle espresioni ironiche utilizzate dal ricorrente, "la Corte ricorda che la liberta' giornalistica puo' includere la possibilità di utilizzare una certa quantita' di provocazione. Inoltre, le espressioni utilizzate dal denunciante non ha portato ad abusi e non dovrebbe essere considerata grauitamente offensiva, essendo infatti in relazione con la situazione che commentavano". La Corte ha anche osservato che nessuno contesta la veridicita' delle principali informazioni contenute nell'articolo incriminato ed ha concluso che "l'articolo non potesse essere interpretato come un attacco personale gratuito contro Musotto".

Un'altra importante conclusione della Corte, che riguarda un problema molto serio in Italia, cioe' quello delle azioni civili contro scrittori e giornalisti, in cui vengono chieste cifre che costituiscono un vero e proprio ricatto, e' stata che, "data la situazione finanziaria di Riolo, la condanna a pagare le somme in questione e' stata in grado di dissuaderlo dal continuare a informare il pubblico su temi di interesse generale" e pertanto la Corte conclude che la condanna della persona si traduca in "una interferenza sproporzionata con il suo diritto alla libertà di espressione e non si muove come 'necessaria in una societa' democratica'".

www.osservatoriosullalegalita.org

22/07/08

Libretto nero del Paese Italia

Cerchiamo di guardare ai fatti di ogni giorno col distacco del viaggiatore straniero, che sappia qualcosa dei destini e della storia delle democrazie, e che si soffermi a osservare come vanno le cose nel Paese che tre mesi fa, con libere elezioni, ha punito una sinistra litigiosa, pasticciona e inconcludente e ha consegnato il potere a Silvio Berlusconi.

1) Gli studiosi di politica e di Costituzione ci dicono che in Italia si è instaurato un presidenzialismo di fatto, senza alcun contrappeso, e che l’equilibrio fra i poteri è profondamente compromesso.

2) Il Parlamento è stato scelto, “nominato”, da pochissimi capi di partito, i cittadini hanno votato ma non hanno potuto scegliere i propri rappresentanti. I parlamentari costituiscono oggi gruppi totalmente asserviti alle richieste di chi li ha nominati.

3) Il Parlamento, dunque ha perso il potere costituzionalmente previsto, non rappresenta se non molto debolmente il popolo, e siamo in presenza di un forte spostamento del potere dal Parlamento al governo. Decreti legge e fiducia espropriano i parlamentari di ogni possibilità di incidere sulle scelte legislative. Ha detto il senatore Gerardo D’Ambrosio : “Si sta smarrendo la funzione del Parlamento e ora vogliono mettere mano al Csm l’altro organo costituzionale che ha cercato di mettere un argine”.

4) La maggioranza votata ad aprile è decisa ad andare avanti da sola, preannuncia con le dichiarazioni del suo Capo che cambierà la Costituzione anche da sola ed è disponibile a regalare all’opposizione una formalizzazione del governo ombra che rafforza il cosìdetto “bipartitismo coatto” e tende a ridurre sempre di più la visibilità e il potere di incidere di ogni forza intermedia.

5) Per settembre si annuncia una riforma “radicale” della giustizia, ovvero, della magistratura, che con una legge costituzionale già preannunciata potrebbe perdere del tutto la sua autonomia e esser ricondotta, anch’essa come il Parlamento sotto i poteri del governo.Si prepara il ritorno all’immunità parlamentare mentre il Premier si è già sottratto al giudizio e una nuova Tangentopoli si profila all’orizzonte.

6) L’informazione che già ha subito colpi molto duri dalla fiacca voglia di indipendenza dei giornalisti, è ogni giorno sotto la minaccia di una riduzione del potere di cronaca e di aumento delle pene previsto per coloro che osano sgarrare.

7) Ma potrebbe essere anche il primo punto: la situazione economica, critica anche in altri Paesi, da noi potrebbe colpire di più, e avere effetti devastanti sull’occupazione, sui salari, sui servizi sociali ecc. Una situazione molto grave per affrontare la quale servirebbero una visione e un progetto complessivo che l’attuale classe politica non è in grado di offrire e forse nemmeno sta inseguendo.

8) La maggioranza che ha vinto le elezioni ha anche annunciato che intende dare un solenne contributo alla “riscrittura” della storia che si insegna ai nostri ragazzi, all’insegna di un forte revisionismo, che faccia piazza pulita di tanti “miti”, come la lotta di liberazione dal nazifascismo che sono alla base della nostra Costituzione. Ce ne accorgeremo l’anno prossimo, quando si tratterà di celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia e nel comitato organizzatore sono stati inseriti ex repubblichini e revisionisti doc. Nel frattempo Bossi reclama insegnanti del Nord per le scuole del Nord e insulta l’inno di Mameli. Riscrittura della storia nazionale e federalismo di tipo leghista possono incidere profondamente sul tessuto civile unitario del Paese.

9) La proposta di schedare i bambini rom non è stata accantonata. Le impronte sulla carta di identità per tutti dal 2010 non risolvono affatto il problema di una scelta discriminatoria e razzista.

Il viaggiatore straniero, arrivato a questo punto, potrebbe trarre delle conclusioni drammatiche e chiedersi verso quale futuro sia avviato questo Paese e se ne sia consapevole. I cittadini italiani e la loro classe politica sono invece restii a farsi domande, preferiscono scomporre il quadro e pensare uno alla volta ai mali che li affliggono, senza mettere insieme i vari tasselli: il mosaico finale rischia di creare qualche turbamento.

Inoltre molti commentatori politici suggeriscono di lasciar perdere, dicono che agli italiani di queste cose non importa un bel nulla, preoccupati semmai solo dal punto 7) dell’elenco, che fra tutti riguarda direttamente ciascuno di noi, e lo tocchiamo con mano appena facciamo la spesa o il pieno della benzina.

Il catalogo approssimativo che ho compilato, una sorta di libretto nero della democrazia in Italia, non è frutto soltanto di una mia personale ubbia: esso è stato declinato, non tutto assieme, ma alla spicciolata, dai partecipanti al seminario sulle riforme organizzato da 14 fondazioni e associazioni, da costituzionalisti e membri dell’attuale Parlamento. Molto efficaci in particolare nella denuncia dello scadimento della qualità della democrazia sono stati quelli dell’Udc (Casini, Tabacci e D’Onofrio) perché in quanto forza di opposizione e di minoranza nell’opposizione sentono più di altri su se stessi il peso dell’autoritarismo berlusconiano. Ha detto Tabacci a Cicchitto, il craxiano ancora oggi in cerca di Repubblica presidenziale, che con il loro progetto “l’Italia finirà in Argentina, non in Nord America”.

Ha scritto W. S. Allen nel ’68, ricostruendo la nascita del nazismo in una cittadina dell’Hannover che “l’effetto principale della depressione fu quello di radicalizzare la città. Di fronte alla crisi economica avanzante, i cittadini furono inclini ad accettare cose che li avrebbero indignati in altre circostanze”. In contrasto con “l’insensata girandola di alterchi e di inefficienza politica, i nazisti si presentavano come un’alternativa di unità, impegnata ed energica…la loro propaganda giocava sulle necessità e le paure della città, riuscendo a conquistarsi l’obbedienza della classe media, confusa e turbata”. Tutto ciò creò le basi per la presa del potere. Lo stesso Allen sottolinea come ognuno vedeva l’uno o l’altro aspetto del nazismo “ma nessuno riuscì a vederlo in tutta la sua odiosità”. E, dopo aver ricordato che uno studioso degli anni in cui iniziò la dittatura, Konrad Heiden, parlò di “coup d’état a rate”, conclude il suo libro dicendo: “Il problema del nazismo fu prima di tutto un problema di percezione; da questo punto di vista il destino di Thalburg sarà probabilmente condiviso da altri uomini, in altre città, in circostanze simili. E il rimedio non verrà trovato facilmente”.

E’ una questione di percezione: è proprio così. Ci consoliamo con la certezza che tutto ciò è accaduto in un altro secolo, in un altro paese, e qui non c’è Hitler alle porte, non c’è il nazismo e nemmeno il fascismo. Solo una democrazia in affanno e una Costituzione messa sotto i piedi giorno dopo giorno. Solo questo…

Solo…

L’Italia vivacchia. Una parte va al mare e una parte quest’anno per la prima volta da tanto tempo rimane in città. Ci sono da riscoprire i giardini dell’infanzia, i discorsi col vicino di casa, il cinema all’aperto, le partite a carte, i gelati e il fresco nelle vie medievali della nostra Italia. Ma la percezione che non si sa dove andremo a finire, la percezione del buio oltre la siepe, almeno questa cominciamo a coltivarla. Non è troppo presto, per cercare un rimedio. E, come prevedeva Heiden, anche questa volta non sarà facile trovarlo.
www.libertaegiustizia.it/

21/07/08

La questione morale: Berlusconi, Del Turco, e gli italiani

La deriva peronista è inarrestabile, oltre che palese, perché approvata sia dal popolo che dalle elites socio-economiche. Quest’ultime credono, per l’ennesima volta, di poter continuare a dedicarsi ai propri affari delegando a qualcun altro il lavoro di gestire il paese e le sue irrisolte contraddizioni. Sporco lavoro, quest'ultimo, compensato, ora come nel passato, da uno scambio suicida: l'esenzione dei professionisti della politica dal dovere di rispettare le leggi che essi stessi hanno approvato. Da questo "scambio impuro" non potrà mai venire la rinascita che tutti, a parole, agognano.

L’autocrata che governa l’Italia sta, ancora una volta, generando enormi costi pubblici per proteggere i propri interessi privati. Gli esempi vanno ben aldilà della progressiva macerazione del sistema giudiziario: bastino, in ciò che va del 2008, il caso Alitalia e la conferma “telefonica” della collusione RAI-Mediaset. Il Bel Paese sta diventando sempre di più un’anomalia, ma l’opinione pubblica “che conta” non sembra farci caso, tantomeno preoccuparsene. A leggere i giornali e ad ascoltare televisione e radio si ha l’impressione che il responsabile della deriva nazionale sia un tal Antonio Di Pietro ...

Consapevole che, in Italia, i fatti raramente scalfiggono le opinioni politiche ricordo, fra i cento possibili, due fatti recentissimi. L’amministrazione Bush ha ritenuto appropriato presentare alla stampa il signor BS con una biografia che iniziava così:

Il premier italiano è stato uno dei piu’ controversi leaders nella storia di un paese conosciuto per corruzione governativa e vizio. [...]

Che Bush abbia poi “smentito”, nulla toglie al fatto che dei funzionari di una amministrazione di destra ritengano del tutto consona una tale descrizione di BS, e dell’Italia.

Israele è un paese che la destra italiana ammira ed erge ad esempio. In questi giorni Olmert è perseguito giudizialmente per fatti che, se provati, porterebbero alle sue dimissioni. I crimini consistono nell’aver richiesto, ed ottenuto, molteplici rimborsi per le stesse spese di viaggio. Trattasi di storie vecchie (precedenti al 30 giugno 2002 ...) ed il danno provocato allo stato è risibile. Nondimeno, l’inchiesta procede e nessuno si scompone: niente lodi Alfano, in Israele. Per gli ideologicamente tarati, una nota: non sostengo che Israele, o l’amministrazione Bush, siano modelli di moralita’. Israele e’ un paese dove i politici sono, relativamente, corrotti e di GWB penso tutto il male possibile: ho scelto questi due esempi esattamente per queste ragioni.

Stabilito quindi che l’agire di BS e del suo governo ci pongono oramai al livello del Venezuela, cerchiamo di capire perche’ le elites italiane considerino invece Di Pietro la fonte di tutti i mali.

La maggioranza degli elettori ha votato BS ben consapevole della sua pessima moralita’ pubblica e privata. Egli lo ricorda frequentemente: uno sparuto numero di giudici, motivati ideologicamente, intende sovvertire il voto popolare attraverso la persecuzione giudiziaria. Astutamente, egli difende sempre qualsiasi politico accusato di qualsiasi cosa: ha appena dichiarato che Del Turco non e’ colpevole di nulla, lui lo sa. Il Teorema BS e’ semplice: gli eletti dal popolo sono al di sopra delle leggi ed immuni dall’azione giudiziaria. Messa cosi’ sembra un’antinomia classica: contano di piu’ le leggi o la volonta’ del popolo? Il Pericle di Tucidide contro quello di Senofonte: niente male per un paese che si pasce di liceo classico.

La scelta e’ banale anche se, in questa triste repubblica, il Pericle di Tucidide siede incomodo sulle spalle di Antonio di Pietro, Sabina Guzzanti e Beppe Grillo. So d’essere in sparuta compagnia - non cosi’ sparuta: nonostante la gogna mediatica, ci informa Mannheimer, il 30% degli italiani sembra essere “tucidideo” - ma fa niente: non son preoccupato per me, ho spalle larghe e pelle dura, ma per voi italiani che qui, dove vengo talora in vacanza, vivete. E per quelli fra i vostri figli, che intendono viverci.

Dicono le persone non prone a facili moralismi che l'ennesima ondata di provvedimenti va trattata con una sana dose di cinquecentesco realismo fiorentino. Trattasi, argomentano, d'un costo relativamente piccolo (esentare un singolo individuo dal rispetto delle leggi) a fronte dei molteplici benefici che ne derivano: un governo che governa e’ meglio di niente in tempi ‘si’ grami. Questo leggiamo non tanto, e non solo, sul Giornale o su Libero – intenti a vendere l’idea che, essendo il tutto una privata questione di “gnocca” ed essendo noi “uomini italici”, non ci si dovrebbe scomporre. Trattasi, ci spiegano, di persecuzione porno-politica: fossero pure veritiere le illazioni della figlia del loro editorialista, che male c’e’ se un vero maschio premia generosamente le sue pollastrelle? – ma sul Corriere, sulla Repubblica, sulla Stampa ... lo dice financo Pansa sull’Espresso. Insomma, le “elites moderate” ritengono poco saggio chiedere a BS (oggi, a Del Turco domani) ragione delle proprie azioni: chiudere la stagone giustizialista, svelenire la vita politica e guardare avanti, questa la consegna.

Ho visto frotte d’editorialisti spiegare che il lodo Alfano e’ il male minore: il paese ha bisogno di stabilita’, non di moralismi inutili. Logica ineccepibile, dovrebbero applicarla piu’ spesso: per svelenire il clima in Campania o in Sicilia - infestato dall’odio fra camorristi, mafiosi e loro complici, da un lato, e le loro vittime, dall’altro - basterebbe depenalizzare due dozzine di reati ed ecco ristabilita l’armonia sociale, la stabilita’ politica e l’ordine costituzionale. Alla faccia di inutili moralisti come Falcone o Borsellino.

Mi son annotato alcune perle: Vittorio Grevi, sul Corriere del 10 Luglio, Giovanni Valentini sulla Repubblica del 12 Luglio, Massimo Franco, sempre sul Corriere, in varie occasioni ... sino al piu’ imbarazzante: EgdL, sul Corriere del 13 Luglio. Quest’ultimo - per la sua alterazione sfacciata sia dei fatti che della logica - meriterebbe attenzioni particolari. Graziaddio che, sul Corriere del 12 Luglio, Piero Ostellino, liberale milanese d’altri tempi, scrive finalmente la verita’:

Se cosi’ fosse, chi e’ stato concusso e’ il governo, non le fanciulle in questione. Ogni ragazza sa bene di “essere seduta sulla propria fortuna”. E di poterne disporre come crede. A certi moralisti preferisco una ragazza che dice biblicamente: “Cio’ che do, mi sara’ sempre restituito.”

D’altri tempi, appunto.

Gli editorialisti della grande stampa scrivono cio’ che i proprietari della medesima vogliono sentir raccontare, nulla di nuovo sotto il sole del Mediterraneo. Trattasi di uno scambio: l’immunita’ per BS verra’ compensata dal suo governare. A me sembra plateale che le politiche economico-sociali messe in attuazione sino ad ora avvicineranno ulteriormente l’Italia all'Argentina. In Confindustria ed in altri luoghi sembrano pensare altrimenti - e forse alcuni fra loro non errano, pro domo loro. Dibatteremo tali illusioni quando avranno finito d’evaporare: in autunno, nel mezzo della peggiore fra le recessioni europee. Assumiamo, per il momento, che i provvedimenti non giudiziari del BS-III siano tutti ciò che non sono, ossia benéfici per il paese.

Nonostante questo, il Pericle di Tucidide conta di piu’. Perche’? Sarebbe facile rispondere: “perche’ sono un liberale”, lanciandomi in una disquisizione sull’importanza dei principi costi quel che costi. Tutte cose che, vorrebbe uno credere, le elites italiane intendono. Giusto? Sbagliato: nelle elites italiane gli argomenti si valutano solo in base alla loro convenienza pratica momentanea.

Consideriamo quindi un argomento pratico. La “questione morale” rimane, in Italia, la questione centrale: solo dalla sua risoluzione puo’ venire un duraturo rinascimento economico e sociale. Alla radice dei comportamenti di BS&Co, nonche’ delle giustificazioni adotte per i medesimi, siede una sub-cultura medievale nemica dello sviluppo. Tale cultura non e’ propria solo di BS&Co, essa e’ diffusa fra il popolo (da cui la popolarita’ di BS) ed e’ comune a larga parte delle elites del paese. E’ condivisa, in particolare, anche dal gruppo dirigente della parte avversa. Tale cultura ha nello statalismo una colonna e nell’uso dello stato a fini particolari l’altra, gli archi che le uniscono essendo il “clanismo” amorale e l’etica dell’arrangiarsi, di cui andiamo orrendamente fieri.

Lo stato, nella concretezza fisica dei suoi possedimenti e poteri, e’ lo strumento per la realizzazione dei nostri interessi, per l’arrichimento del nostro gruppo, e per nient’altro. Lo stato non serve per fornire beni pubblici, ne’ si regge su di un contratto fra parti diverse che delegano ad agenti temporanei alcune funzioni collettivamente utili. Il governante non e’ un agente che deve rispondere al cittadino-principale, ma un “principe” nel senso tardo medievale del termine: un Medici, un Visconti, uno Sforza o, se volete avvicinarvi nel tempo, un Luigi Bonaparte. A sinistra lo chiamano “il primato della politica”: lo stato si occupa perche’ “ci” appartiene. Esso serve a noi; esattamente come le pollastrelle.

Dettaglio fastidioso: la roulette delle elezioni manda talvolta al potere gli altri. In Italia non succede frequentemente. Dal 1946 al 1994 son sempre andati al potere gli stessi, la qual cosa ha plasmato ancor piu’ - non ve n’era molto bisogno visti gli 86 anni anteriori - la concezione che dello stato hanno le classi dirigenti italiane. Solo negli anni piu’ recenti abbiamo visto una debole alternanza la quale, presentando dei rischi, ha richiesto un’assicurazione reciproca. Ecco, allora, che la sinistra (totalmente coeva a tale concezione della relazione fra stato e societa’, anche se per ragioni ideologiche che sono parzialmente altre) smette di far scudo a Mani Pulite quando le proprie mani si rivelano sporche ed in sette anni di governo non approva nessuna legislazione sul conflitto d’interesse. Il lodo Alfano, invece, si approva in un mese. Ecco che entrambe le bande proteggono il bordello di casta chiamato RAI e si strappano le vesti quando le intercettazioni rivelano i loro piani “industriali” (UNIPOL o Telecom che fossero), la loro passione per la gnocca di stato o la collusione RAI-Mediaset. Ecco che il principe di Napoli firma leggi medievali invitando all’unita’ nazionale mentre BS scorda le colpe di Bassolino&Co nel disastro dei rifiuti campani facendo appello, pure lui, alla solidarieta’ nazionale (i volontari della spazzatura sono poi arrivati a Napoli?). Ecco che Banca Intesa accondiscende finalmente alla richiesta di BS e prova a comprarsi Alitalia, sicura del fatto che sara’ il contribuente a farsi carico degli esuberanti fra i nullafacenti che, mentre scrivo, fan finta di servirmi un’orrenda cena. Ecco che l’ordinamento giudiziario non si riforma, come non si riforma quello elettorale, ne’ si riducono le abnormi dimensioni e gli sprechi faraonici dell’apparato pubblico: la persistenza dello status quo, e del controllo delle risorse che esso garantisce, assicura entrambe le parti che vi e’ comunque un pezzo di stato da occupare a fini privati. Ecco che D’Alema invita gentilmente BS a farsi processare (surreale: immaginate Schroeder che rivolge la medesima richiesta a Koll) e che BS contraccambia dichiarando Del Turco vittima d’un teorema giudiziario, mentre un’editorialista di Repubblica invita la ex ragazza-calendario a richiedere un giuri’ d’onore per difendere il suo diritto a “vivere liberamente la propria sessualita’” ... Un dare ed un avere sottile, mai dichiarato, omertoso, danzato a ritmi e secondo codici che solo chi ha frequentato i salotti della casta sa intendere.

Diranno i saggi: e allora? Occorre pensare alle cose importanti, non alla passione nazionale per la gnocca a pagamento o ai soldi che BS fa controllando sia RAI che Mediaset. Il monopolio, mi son sentito spiegare la settimana scorsa in simultanea da un politico PdL in erba e da un membro dell’elite liberale del PD, e’ spesso efficiente. E la gnocca, suvvia: siamo italiani, no?

Vi dico io che male c’e’: non avete capito su cosa si reggano una societa’ ed un’economia capaci di produrre crescita. Esse si reggono sulla concorrenza, la divisione del lavoro, la competenza e la responsabilita’ individuali: “chi sbaglia paga, economicamente o giudizialmente che sia; avanti un altro”. Gli equilibri sociali si reggono sulla reciprocita’ e la simmetria dei diritti e dei doveri: violati, ripetutamente, i doveri dei governanti diventa giocoforza che i governati violino i loro, ripetutamente. All’immunita’ del membro della casta aduso a tutte le sopraffazioni corrispondono l’impunibilita’ del camorrista dedito ai propri crimini e, si parva licet, l’intoccabilita’ del cittadino-lavoratore uso ad abusare il sistema fiscale, sanitario, previdenziale, o semplicemente l’impresa laddove e’ impiegato. L’altra faccia della medaglia che, da un lato, ha l’immunita’ per BS e tre altre cariche e’ l’Alitalia che mai viene liquidata; la contropartita al fatto che D’Alema e Fassino siano ancora li’, dopo i loro piani industriali, sono i dipendenti pubblici che mai vengono licenziati o gli evasori, che allegramente evadono.

Senza la certezza della legge uguale per tutti - che solo uno stato non occupato da cosche di bravi al soldo di principi puo’ garantire - s’ottengono solo parodie generalizzate della concorrenza, della competenza e della responsabilita’ individuali: l’Italia in cui vivete ed in cui vivranno i vostri figli.

Pensate davvero che una classe politica che ha questa concezione dello stato fara’ mai quelle riforme che, almeno a parole, tanto agognate? Davvero voi - poveri illusi o ricchi ipocriti - pensate che una classe politica, capace di stravolgere l’intero sistema giudiziario perche’ i loro principi non vengano processati, si preoccupera’ di semplificare il sistema fiscale, riformare quello pensionistico, restituire ENI, ENEL e mille altre aziende al mercato, bloccare la trasfusione del sangue fiscale dei produttivi che alimenta l’illegalita’ dei parassiti, e via elencando miracoli? Davvero voi pensate che gente cosi’ possa anche solo concepire delle cose cola’? Proprio non riuscite a capire che il ritrovato peronismo economico tremontiano e’ complementare - no: consustanziale – al peronismo giudiziario berlusconiano? Che sono entrambi frutti della stessa cultura e non se ne andra MAI l’uno senza scacciare l’altro? O si cambia classe politica o la rinascita economica rimane una chimera. Ve ne rendete conto?

No, non ve ne rendete conto, non potete: nella grande maggioranza condividete tale cultura. Nella grande maggioranza gli affari dubbiosi li avete fatti pure voi, lo stato l’avete usato pure voi, i sussidi pubblici li avete presi pure voi ... Questa e’, da secoli, la cultura delle elites italiane. Per un brevissimo periodo - fra gli anni ’60 e gli anni ’70 del XX secolo - si ebbe l’impressione, erronea, che l’asfissiante cappa ch’essa determina si stesse squarciando e che le classi dirigenti italiane avesssero cominciato ad assumere come cultura di riferimento (e non come oggetto dei propri scimiottamenti salottieri) quella che tutti continuano a chiamare del “Nord Europa” ma che domina anche in posti come Madrid. Non successe, ed ora siamo ritornati ad atmosfere, discorsi, atti e comiche da anni ’20 del secolo precedente. Per questo, miei cari, v’e’ un nesso stretto fra la sessualita’ d’alcune fanciulle ed i tagli alla spesa pubblica. Per questo i processi di BS che mai si compiono causano le vostre cause civili che mai si risolvono. Per questo un primo ministro che passa il tempo ad assumere attricette come consulenti di palazzo Chigi non trovera’ il tempo per riformare il mercato del lavoro. Perché, nel contratto politico-sociale su cui si regge un paese, tutto questo è un "equilibrio" dove ogni parte gioca il suo ruolo: per queste praticissime ragione la questione morale è fondamentale, piaccia o no alla vostra praticistica morale dell’arrangiarsi.

Ma le elites italiane, che evidentemente non hanno figli o pensano di mandarli all’estero, questo aspetto pratico della questione lo ignorano. Mal gliene incogliera’.

www.noisefromamerika.org

17/07/08

Fate tacere i bloggers una volta per tutte!

di Loris "snail" D'Emilio - Megachip

Dalla Russia alla Spagna, dalla Cina all'Iran, passando per la “pecoreccia” Italia, bloggers arrestati, condannati, messi a tacere. Libertà di parola? Una utopia nell'era dell'informazione globale.
Se n'era scritto non molto tempo fa [1] per alcuni casi accaduti nel mondo, il più grave – e conosciuto – dei quali la tremenda repressione del regime birmano nei confronti dei monaci buddisti e dei bloggers che cercavano in tutti i modi di far filtrare notizie ed informazioni all'estero; si era riaperto il dibattito recentemente con il caso dello storico Carlo Ruta [2], condannato per il reato di “stampa clandestina”.

Ma nell'ultima settimana l'argomento torna prepotentemente alla ribalta: i bloggers sono testimoni scomodi, il blog un potente mezzo di comunicazione globale. Internet è pericolosa, bisogna mettere a tacere queste voci libere una volta per tutte.

La cosa che maggiormente preoccupa è che la tendenza rimane la stessa, a prescindere dal sistema legislativo vigente: l'equiparazione di un blog ad una testata giornalistica ed il blogger al direttore di un giornale, responsabile dunque non solo dei suoi scritti ma anche, se non soprattutto!, dei commenti lasciati dagli altri lettori. E' il caso di quanto accaduto in Russia [3] ed è il caso di quanto accaduto in Spagna [4], dove i blogger hanno scritto degli articoli, il primo contro la polizia ed il secondo contro la SIAE spagnola, ed i lettori hanno lasciato i loro spesso feroci commenti. Risultato: il russo condannato ad un anno di carcere per “incitamento all'odio” e lo spagnolo e novemila euro di multa per diffamazione.

E meno male che Russia e Spagna sono repubbliche democratiche! … o almeno, dovrebbero esserlo. Perché in Stati totalitari, come la Cina e l'Iran, non si va certo per il sottile.

Huang Qi, noto blogger dissidente cinese [5] già arrestato e condannato ad una pena detentiva di diversi anni, tutti scontati, è stato nuovamente arrestato: tre anni di reclusione per “essersi impossessato di segreti di Stato”. Il suo crimine? Aver dato voce alle centinaia di genitori che chiedevano giustizia per i loro figli morti sotto le macerie delle scuole pubbliche durante l'ultimo, drammatico, terremoto. Il sospetto è terribile: speculatori edilizi, con la complicità dei quadri del Partito locali, avrebbero costruito le scuole con materiale di scarto; non si spiega altrimenti perché in interi villaggi colpiti dal sisma gli unici palazzi a crollare sono state proprio le scuole.

Quale sarebbe il segreto di stato da custodire così gelosamente? L'impasto di scarsa qualità del cemento usato per le costruzioni, o l'alto tasso di corruzione dei dirigenti politici cinesi?

Prigione e multe salate. Ma si può fare di peggio: in Iran sta per essere approvata una legge [6] che condanna i blogger rei (a prescindere?) di promuovere “la corruzione, la pornografia e l'ateismo” all'esilio o all'impiccagione, corredata di amputazione della mano destra e del piede sinistro.

Dovrebbero essere contenti allora i bloggers italiani di avere blog e forum “solo” sequestrati ed oscurati, poco importa se contenga indagini sulla mafia in Sicilia e le sue collusioni con i poteri locali, come nel caso di Carlo Ruta, accese discussioni sulla pedopornografia tra i sacerdoti, come nel caso dei forum dell'associazione ADUC [7], o una pseudotrascrizione di una improbabile, quanto palesemente falsa!, telefonata “pecoreccia” tra Berlusconi e Confalonieri [8].

Nel nostro (bel?) Paese indagare, discutere, sbeffeggiare parodiando pari sono: una libertà di espressione che non ci è (più) concessa.

NOTE

[1] Le censure del dissenso
http://www.ldenews.info/?p=123

[2] Le inchieste scomode
http://www.ldenews.info/?p=169

[3] Russia, condannato blogger sobillatore
(PI - News) Ha commentato in un blog, se l'è presa con la polizia che mette a tacere la stampa locale. Condannato ad un anno con la condizionale: ha aizzato i cittadini contro le forze dell'ordine
Punto Informatico, 9 luglio 2008
http://punto-informatico.it/2348440/PI/News/Russia--condannato-blogger-sobillatore/p.aspx

[4] La SIAE spagnola fa condannare un blogger
(PI - News) E' stato considerato responsabile dei commenti ad un post sul suo blog. Condannato a pagare 9mila euro, il blogger Julio Alonso ricorrerà in appello: non possono costringerci all'autocensura, dice
Punto Informatico, 8 luglio 2008
http://punto-informatico.it/2346770/PI/News/La-SIAE-spagnola-fa-condannare-un-blogger/p.aspx

[5] Cina, spenta la voce del blogger che cercava la verità sul terremoto
RaiNews24, 12 luglio 2008
http://www.rainews24.it/ran24/rainews24_2007/magazine/scenari/scenari_estate_01.asp

[6] Iran, a morte i blogger
(PI - News) Una proposta di legge per condannare coloro che in rete attentino alla morale di stato. A Teheran il web non fa eccezione: vanno puniti coloro che si fanno portatori di costumi corrotti
Punto Informatico, 7 luglio 2008
http://punto-informatico.it/2345133/PI/News/Iran--a-morte-i-blogger/p.aspx

[7] Italia, due forum dissequestrati. A metà
(PI - News) Il caso ADUC che ha alzato tantissima polvere giunge ad una conclusione che lascia però l'amaro in bocca. Legittime le bestemmie, illegittime - fa notare l'Associazione - le discussioni sulla pedofilia nella Chiesa
Punto Informatico, 10 luglio 2008
http://punto-informatico.it/2349406/PI/News/Italia--due-forum-dissequestrati--A-met-agrave-/p.aspx

[8] La falsa telefonata di Berlusconi a Confalonieri imbarazza l'informazione
Quando un post di un blog è pubblicato con intenti satirici ma viene scambiato per una notizia reale, la colpa non è dell'autore del post ma di chi non fa i dovuti controlli.
Zeusnews, 8 luglio 2008
http://www.zeusnews.it/index.php3?ar=stampa&cod=7881&numero=999

il responsabile del sito: «Era solo uno scherzo»
Su Internet pubblicata la telefonata Berlusconi-Confalonieri, ma è un falso
Ghedini: «Un falso plateale, completamente inventato». Confalonieri: «Evidente montatura»
Corriere della Sera, 7 luglio 2008
http://www.corriere.it/politica/08_luglio_07/intercettazione_falsa_ghedini_c3597ea2-4c2d-11dd-85a4-00144f02aabc.shtml

14/07/08

L'opposizione? Me la scelgo io! No serve a me.

- AgenParl - "Visto chi sono i signori dell'opposizione, oggi sono determinato a portare avanti il mio mandato, sino alla fine della legislatura, per cambiare il mio Paese". Non poteva essere più chiaro di così il Cavaliere nell'esplicitare le sue intenzioni circa il suo modo di governare. Che Silvio Berlusconi abbia sempre avuto idee chiare e intenti precisi nel suo agire lo ha dimostrato sin da quando, anche contro i consigli di suoi cari, decise di mettere da parte le sue intrepide attività industriali e darsi alla politica. Ma mai era stato così esplicito come ieri a Parigi nel mettere i puntini sulle i per quanto riguarda i suoi rapporti con l'opposizione. Sostenuto ormai da una larga maggioranza capace di portare avanti qualsiasi forzatura in materia di giustizia come di ordine pubblico, economia, ambiente, ecc., il Cavaliere ha deciso di partire lancia in resta verso qualsivoglia battaglia politica. E sicuro di essere dalla parte giusta, candido sentenzia: l'opposizione con la quale dialogare? Se proprio ne ho bisogno, me la scelgo io. (I.D.G.)

Intanto la volpe Umberto come si è visto peraltro nei giorni scorsi, non è disposto a lasciare a Berlusconi la rappresentanza esclusiva dell'attuale maggioranza parlamentare poiché ritiene che la Lega, partito di frontiera tra il centrodestra e l'opposizione, possa svolgere un ruolo determinante nella politica italiana e soprattutto nel gioco per le riforme istituzionali. Bossi, interessato soprattutto al varo del federalismo fiscale, desidera che questa riforma avvenga con il consenso dei due terzi delle Camere. In tal modo la sua riforma sul federalismo non può essere assoggettata al referendum previsto dall'art. 138 della Costituzione, ultimo comma. Come si ricorderà, le numerose riforme costituzionali varate dal governo Berlusconi nel 2005 furono affossate con il referendum del 25 e 26 giugno del 2006 appunto perché approvate senza la maggioranza dei due terzi del Parlamento.

La volpe e il lupo e noi poveri pinocchietti siamo qui ad aspettare che la fata turchina ci salvi.
tratto da fonte

13/07/08

Il Paese senza legge

di Giorgio Bocca -
Guardavo la festa nei giardini del Quirinale per gli atleti che vanno alle Olimpiadi: i corazzieri con l´elmo rilucente, le bandiere tricolori, il capo dello stato affabile e paterno, i giovani atleti nel pieno della loro vigoria, e il meglio della società civile ad assistere e applaudire, un´Italia pacifica, educata, concorde nell´affettuoso rispetto per i suoi reggenti.

E a un certo punto mi è parso di vivere in un sogno, di essere stato trasportato a volo in un altro paese, in uno reale dove i giochi mafiosi sembrano quasi fatti, dove un nuovo sultanato affaristico e criminale è ormai al potere e dispone di corpi armati, di leggi ad personam, di privilegi, di impunità. Ci siamo quasi! A ciò che nella storia risorgimentale e unitaria sembrava impossibile, assurdo, da incubo: vivere in uno stato mafioso, fuorilegge, senza più una Costituzione rispettata, dove in alcune regioni è già sovvertito il rapporto fondamentale della democrazia parlamentare, il voto dei cittadini ai delegati di cui si condividono le idee, la capacità di governo, il voto democratico alle idee e alle persone meritevoli sostituito dal voto al partito di raccolta dei ricchi sempre più ricchi, dei potenti sempre più potenti, quali che siano i simboli e le bandiere dietro cui si presentano. Lo specchio magico della televisione ogni tanto riflette il paese come è anche senza volerlo.

leggi tutto

12/07/08

Appello per la Costituzione. 100 costituzionalisti contro il lodo Alfano

Faccio mio l'appello dei 100 costituzinalisti contro il lodo-Alfano che sospende i processi delle quattro più alte cariche istituzionali e contro la norma blocca-processi. Il documento è intitolato "In difesa della Costituzione" ed è firmato da ordinari di diritto costituzionale e discipline equivalenti: tra essi gli ex presidenti della Consulta Valerio Onida, Gustavo Zagrebelsky e Leopoldo Elia. A coordinare la raccolta di firme è stato Alessandro Pace, presidente dell'Associazione italiana costituzionalisti. Promosso da Micromega


Firma l'appello

10/07/08

30° Anniversario. SANDRO PERTINI Presidente della Repubblica



« Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. Se il prezzo fosse la libertà, io questa riforma la respingerei. [...] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. [...] Questa non è la libertà che intendo io. »



Biografia ed elezione

Messaggi di fine anno

Discorsi

Nomine

Fotografie

[PDF] “UNA NOTTE SENZA STELLE”, IL FUMETTO SULLA VITA DI PERTINI

Il presidente più amato dagli italiani




09/07/08

1936-2008: i nazi separati dalle opinioni?













Come nella Settimana Enigmistica! Divertente gioco per grandi e piccini!

Queste due copertine differiscono tra loro per dieci piccoli dettagli.
Ma io non riesco a vederne nemmeno uno e mi sembrano incredibilmente identiche. La prima (a sinistra) è la copertina de La difesa della razza, numero del gennaio 1936. la seconda, a destra, è la copertina di Panorama, luglio 2008. La matrice culturale è assolutamente identica, le motivazioni ideologiche le stesse, l’eleganza assolutamente paragonabile. 72 anni buttati nel cesso? La Difesa della Razza fu un periodico espressamente creato durante il fascismo per sostenere le teorie razziste e la supremazia della stirpe italica. Panorama è invece un newsmagazine edito dalla prestigiosa casa editrice del Presidente del Consiglio attualmente in carica in Italia. Certo ne abbiamo fatta di strada in 72 anni, eh!

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